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Dal primo Ottocento al 1979

A cura del Prof. Fabio Sparatore (già ordinario di Chimica farmaceutica e tossicologica nell'Università di Genova)

*tratto dalla relazione svolta a Pisa il 7 settembre 2004, in occasione del 25° anniversario della costituzione della Divisione di Chimica Farmaceutica della S.C.I.

XVII Convegno Nazionale della Divisione di chimica Farmaceutica (Pisa, 2024). Nella foto da sinistra: Enrico Aiello, Antonio Da Settimo, Vincenzo Tortorella, Giuseppe Ronsisvalle, Fabio Sparatore.

Per comprendere il ruolo svolto dalla costituzione della "Divisione di Chimica farmaceutica" per lo sviluppo del settore farmaceutico è utile delineare, se pur sommariamente, la storia iniziale della nostra disciplina e la sua evoluzione fino agli anni ’80.

La domanda di "miglior salute", e quindi di medicamenti  sempre più efficaci e sicuri, è sempre stata dominante tra le esigenze della società civile e si comprende, pertanto, come l’insegnamento universitario nell’ambito della chimica si sia articolato già dal primo Ottocento nelle due cattedre di “Chimica generale” e di “Chimica farmaceutica e tossicologica”: quante erano le Università, tante erano le cattedre dei due tipi.

La cattedra di "Chimica farmaceutica e tossicologica" sopperiva alla formazione professionale di chi doveva occuparsi della preparazione, del controllo e della distribuzione dei farmaci. D’altra parte, sopperiva anche all’esigenza di identificare e controllare le sostanze tossiche che lo sviluppo della chimica e delle industrie in genere, rendevano sempre più numerose ed accessibili e potevano essere origine di intossicazioni accidentali, ma anche strumenti di atti criminosi; sopperiva quindi all’esigenza della Magistratura di appurare le cause e le responsabilità nei casi di veneficio.

In linea con quanto detto la "Chimica farmaceutica e tossicologica" era fondamentalmente "Analisi farmaceutica" e "Analisi tossicologica".

Tuttavia la ricerca di nuovi farmaci o di migliori processi produttivi di quelli già in uso non era completamente negletta. Infatti non va dimenticato che fino ai primi decenni del Novecento, le pur limitate, ma basilari scoperte di nuovi farmaci siano state frutto delle ricerche accademiche, eventualmente supportate dalle nascenti industrie chimiche dei vari Paesi, in una proficua collaborazione che, purtroppo, si andrà perdendo con il passar del tempo.

In quel periodo il contributo italiano alla scoperta di nuovi farmaci rimase piuttosto marginale; esso diverrà invece importante e di grande prestigio nel secondo dopoguerra.

Pur nella molteplicità degli interessi coltivati, lo studio dei composti organici naturali, di uso terapeutico o meno, occupava grande spazio nelle ricerche condotte negli Istituti annessi alle due Cattedre di Chimica generale e di Chimica farmaceutica.

L’iniziale esistenza di due sole cattedre chimiche non impediva il progressivo definirsi di discipline chimiche specialistiche che, dapprima insegnate a vario titolo dai titolari delle due cattedre e/o dai loro collaboratori, esigeranno infine l’attivazione di cattedre specifiche, la cui copertura dovrà essere effettuata in funzione di una comprovata competenza specifica.

Ciò nonostante per lungo tempo l’insegnamento della Chimica organica e la ricerca nel settore restano appannaggio dei chimici farmaceutici e, in una parte progressivamente sempre minore, dei chimici generali.

A cavallo tra Ottocento e Novecento le cattedre di Chimica organica sono rarità, esistendo solo su una base occasionale (cioè, venendo attivate e disattivate dopo tempi brevi) o di particolari tradizioni delle scuole chimiche di singole Università.

Nel 1960, le cattedre di discipline chimiche, nelle 24 Università italiane allora esistenti, assommavano a poco più di un centinaio.

Tra queste le cattedre di chimica farmaceutica sono ancora 23: una per ogni sede Universitaria (con esclusione di Milano, che avrà una Facoltà di Farmacia solo dopo il 1970). Cioè alle 21 Università dell’epoca pre-fascista si sono aggiunte quella di Bari dal 1924 e quella di Trieste dal 1938.

Per contro le cattedre di chimica organica sono solo otto, cui ne vanno aggiunte 5 di chimica organica industriale.

Questa incomprensibilmente lunga mortificazione di un così fondamentale settore chimico verrà infine superata con una crescita assai vivace. Nel 1966 si hanno già tante cattedre quante sono le sedi universitarie. All’epoca della costituzione della Divisione di Chimica farmaceutica, cioè immediatamente prima della promulgazione della legge 382 del 1980, il settore chimico organico sorpassa ampiamente quello chimico farmaceutico, nonostante lo sviluppo che anche quest’ultimo sia riuscito finalmente ad avere.

Negli anni del secondo dopoguerra si è determinata a livello mondiale una profonda trasformazione della ricerca farmaceutica.

Le incalzanti scoperte di farmaci che rivoluzionano i più diversi settori della terapia, il prodigioso sviluppo della biologia e della biochimica influenzano profondamente anche gli interessi culturali e gli indirizzi di ricerca dei chimici farmaceutici italiani. L’entusiasmo per le nuove prospettive di ricerca è tuttavia smorzato dalla penosa realtà nella quale essi devono agire.

Le disastrate condizioni post-belliche delle strutture universitarie, fanno sentire il loro peso specie nelle piccole Facoltà di Farmacia.

Così pur accanto ad un insegnamento completamente rinnovato e aggiornato, la ricerca si muove ancora in gran parte in quei settori (come quello chimico-organico) per i quali si era già attrezzati e preparati.

Ricerche che mirano ad estrarre nuove sostanze da piante, ma anche da altre fonti naturali meno tradizionali, a definire le strutture ancora irrisolte di alcaloidi, glucosidi, steroidi, flavonoidi, antibiotici, e altre sostanze naturali anche prive di rilevanza terapeutica o tossicologica, a mettere a punto modalità sintetiche per confermare le strutture proposte o renderle più economicamente accessibili.

Sulla base di considerazioni analogiche piuttosto formali, vengono sintetizzati congeneri di sostanze naturali o sintetiche di cui era stata evidenziata una qualche attività biologica; vengono realizzati nuovi sistemi eterociclici che, discostandosi sempre più dalle strutture di composti attivi, potrebbero rivelare imprevedibili proprietà biologiche, per evidenziare le quali sarebbe tuttavia necessario cimentarle nei più diversi ambiti bio-farmacologici.

In realtà molte di queste sostanze saranno studiate (quando lo sono state) in un ambito piuttosto che in un altro più pertinente, in funzione delle occasionali collaborazioni, con biologi o farmacologi, che si riusciranno ad attivare.

Si incontrano ancora ricerche sulla determinazione quali-quantitativa dei numerosi farmaci naturali e sintetici che entrano nell’uso medico, mentre si osserva un crescente disinteresse verso settori tradizionalmente coltivati dai chimici farmaceutici, come la tossicologia e la bromatologia, che per lungo tempo avevano conferito ad essi rilevanza e prestigio in seno alla società e che avevano costituito una delle stesse ragioni di essere per le cattedre di chimica farmaceutica e tossicologica.

Le ricordate difficoltà di condurre ricerche moderne spinge molti docenti e ricercatori a trasferirsi per qualche tempo presso prestigiose strutture straniere, dalle quali torneranno con nuove competenze, ma soprattutto con rinnovata fiducia in se stessi e determinati a supplire, almeno in parte, con la creatività alla inadeguata disponibilità di mezzi.

è l’inizio di un cammino lungo e duro che porterà al progressivo costituirsi presso varie sedi universitarie di gruppi di ricerca innovatori e fecondi di risultati di rilievo in una chimica del farmaco modernamente intesa, che pur sempre intimamente permeata da aspetti classicamente chimico-organici, non può esaurirsi in essi.

Pur con caratterizzazioni diverse, questi gruppi affrontano lo studio del farmaco in maniera multidisciplinare, chimica, chimico-fisica e biologica. Si potrebbe rimarcare quasi un ritorno all’ecclettismo dei vecchi chimici, ma in effetti si tratta di un ecclettismo selezionato e convergente sul farmaco.

In questo periodo post-bellico, pur tra tante difficoltà, varie iniziative mirano a vivacizzare il settore farmaceutico: nel 1946 nasce la rivista "Il Farmaco" che ambisce di raccogliere i risultati della ricerca italiana per dare ai farmaceutici stessi una più precisa consapevolezza di quello che viene fatto e che, ancor più, potrebbe essere fatto.

Essa si affianca al già esistente "Bollettino Chimico Farmaceutico" che pur potendo vantare di essere la più antica rivista chimica italiana non corrisponde alle esigenze dei tempi.

Nel 1954, viene costituita la “Societa"Italiana di Scienze Farmaceutiche" (SISF) come propulsore di iniziative, convegni e dibattiti sugli aspetti sia chimici che biologici dello studio dei farmaci.

Nella seconda metà degli anni ’60 viene istituito in più Università il nuovo corso di laurea in "chimica e tecnologia farmaceutiche", che rilancia gli studi farmaceutici nel panorama universitario e impone un incremento degli addetti al settore. Esso mira a fornire personale più specificamente qualificato alla fiorente industria farmaceutica nazionale.

Va ricordato come a metà degli anni ’50, l’industria farmaceutica italiana sia riuscita a piazzarsi al terzo posto nel mondo. Alcune Ditte farmaceutiche oltre ad esportare largamente, hanno impiantato all’estero stabilimenti di produzione. Questo risultato è conseguito con un serio lavoro e sarebbe superficiale e riduttivo attribuirlo alla allora mancanza di brevettabilità del farmaco in Italia. In effetti la ricerca industriale nazionale è di tutto rispetto e darà presto frutti di alto prestigio, come la scoperta della rifampicina e della doxorubicina.

La scoperta e lo sviluppo di nuovi farmaci nasce da una ricerca ad ampio raggio che presuppone larghe "equipes" di ricercatori afferenti a diverse aree chimiche e biologiche, strettamente coordinati e incentivati verso precisi obiettivi. Presuppone l’ampia disponibilità delle più moderne e sofisticate strumentazioni e quindi, nel complesso, di ingenti risorse finanziarie che solo a livello industriale sono reperibili.

Così, mentre da una parte la produzione scientifica nelle Facoltà di Farmacia va acquisendo una connotazione più strettamente farmaceutica, superando i limiti del passato, si osserva d’altra parte un progressivo scollamento tra l’Università e l’Industria, che va maturando una piena autonomia culturale.

I rapporti tra questi enti sussisteranno solo su una base personale ed episodica per la soluzione di specifici problemi.

Gli stessi incontri personali tra i ricercatori della varie Università e dei centri di ricerca industriale sono piuttosto limitati, basati essenzialmente sui congressi quadriennali che la Società Chimica Italiana ha ripreso ad organizzare a partire dal 1950. Questi congressi sono apprezzati a livello internazionale per la loro signorilità, ma, coinvolgendo tutta la Chimica, risultano piuttosto dispersivi, ancorché articolati in sezioni parallele in relazione alle diverse branche della Chimica.

Ulteriori occasioni d’incontro si hanno nell’ambito dei Convegni organizzati dalla SISF (il 1° nel 1955), e dalla FIP (Federation Internationelle Pharmaceutique), nei quali la Chimica Farmaceutica trova posto accanto alla Farmacologia e alla Tecnica Farmaceutica. Infine, seppur con cadenze irregolari, hanno luogo incontri su tematiche particolari organizzati dal C.N.R..

Il numero delle comunicazioni presentate dai ricercatori farmaceutici accademici non è trascurabile, in relazione al numero degli addetti ancora molto basso.

Sarà il sovrapporsi di più fattori positivi che, a partire dagli anni ’70, determinerà una progressiva crescita quantitativa e una maggior caratterizzazione farmaceutica della produzione scientifica degli Istituti di Chimica farmaceutica e, più in generale delle Facoltà di Farmacia. Si avrà una più ampia partecipazione ai Congressi con l’avvio di un circolo virtuoso di sana emulazione.

Tra questi fattori positivi vanno ricordati: i cosiddetti "provvedimenti urgenti per l’Università" del 1973; l’incremento del numero delle cattedre del settore farmaceutico e del personale afferente; la maggiore disponibilità finanziaria connessa con crescenti contributi del C.N.R. e del Ministero della P.I., specie dopo la emanazione della legge 382 (anche se gli uni e gli altri cominceranno ad assottigliarsi dopo non molto tempo); il consolidarsi di un certo orgoglio di gruppo; infine la costituzione della Divisione di Chimica farmaceutica e il conseguente avvento dei Congressi divisionali annuali, che hanno consentito la maturazione di una più profonda conoscenza reciproca e di una maggiore unitarietà di intenti, sia nell’ambito accademico che nel rapportarsi di questo con il mondo industriale e, più in generale, con il Paese.